Diligenza del "buon padre di famiglia" e Imprese familiari: La formazione
Dott. Matteo Micheli – esperto Ergonomo
Troppo
spesso si pensa che il "buon senso"
possa essere la chiave di lettura per risolvere tutte le problematiche relative
alla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, così facendo però alcuni
comportamenti contrari alle norme con il passare degli anni si auto-legittimano
e si diffondono affermando la "cultura della non sicurezza". Una
delle poche barriere da anteporre a questo subdolo meccanismo è la formazione.
Negli ultimi anni si sono accesi i riflettori sull'importanza della formazione,
come se fosse la novità dell'ultima ora, purtroppo non è così, pensiamo alla
Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione
di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute
dei lavoratori durante il lavoro, invitava gli stati a considerare "che,
per garantire un miglior livello di protezione, è necessario che i lavoratori
e/o i loro rappresentanti siano informati circa i rischi per la sicurezza e la
salute e circa le misure occorrenti per ridurre o sopprimere questi
rischi". Ricordiamo che qualche mese dopo l'emanazione del Decreto
Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, il Ministro del Lavoro ed il Ministro
della Sanità individuarono i contenuti minimi della formazione dei lavoratori
(D.M.16 gennaio 1997). All'articolo 1 del sopraccitato decreto venivano
elencati i contenuti della formazione dei lavoratori che dovevano essere
commisurati alle risultanze della valutazione dei rischi e dovevano riguardare
almeno:
-i rischi riferiti al posto di
lavoro ed alle mansioni nonché i possibili danni e le conseguenti misure e
procedure di prevenzione e protezione;
-nozioni relative ai diritti e
doveri dei lavoratori in materia di sicurezza e salute sul posto di lavoro;
-cenni di tecnica della
comunicazione interpersonale in relazione al ruolo partecipativo.
Il
legislatore, lungimirante, richiedeva che durante il percorso formativo fosse
dato spazio alla comunicazione in relazione alla partecipazione attiva dei
lavoratori. Ciò ha anticipato la campagna 2012-2013 dell'Agenzia Europea per la
Sicurezza e la Salute sul Lavoro "Lavoriamo insieme per la prevenzione dei
rischi". Nel Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro la parola formazione
compare più di 1000 volte, è chiaro l'intento di volere dare il giusto peso a
quest'attività che, se organizzata in modo "sufficiente
ed adeguato" potrà svolgere una reale funzione di dispositivo di protezione
collettiva. Purtroppo non tutti i lavoratori hanno l'obbligo di partecipare a
programmi di formazione sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, pensiamo ai
lavoratori autonomi (fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali ),
o i componenti dell'impresa familiare che (purtroppo) non vengono equiparati ai
lavoratori c.d. subordinati, mi chiedo cosa penserebbe oggi Bernardino
Ramazzini.
Sotto il profilo giuridico sembra che i conti tornino, infatti "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso" (art. 25 comma 2 della Costituzione Italiana). Eppure c'è da dire che sotto il profilo culturale il tutto è un po'carente. Nella pratica chiediamo a tutti i datori di lavoro di garantire "sino alla pedanteria" una formazione sufficiente ed adeguata, perché attraverso un'informazione, una formazione ed un addestramento (reale) i dipendenti ricevano una specie di "educazione al rischio", ciò rende sia il datore di lavoro che lo Stato sicuri, o quasi, che i lavoratori non andranno incontro ad infortuni e/o malattie professionali perché il loro comportamento sarà guidato dalla nuova educazione e non dalla consuetudine. Allora perché per i lavoratori autonomi e per i componenti delle imprese familiari tutto ciò non è obbligatorio?
Secondo un noto Procuratore Generale "...questa apparente attenuazione degli obblighi trova la sua giustificazione nel vincolo familiare", questo fa pensare proprio al concetto della diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 del Codice Civile), un concetto nobile ma poco applicabile nel contesto della sicurezza sul luogo del lavoro. Facciamo un esempio banale: il titolare di un'impresa familiare che da anni lavora con una macchina a norma ma in modo scorretto; tale soggetto considerando che quello fin ora utilizzato sia il metodo giusto per lavorare, trasferirà con la "diligenza del buon padre di famiglia" il suo modo non idoneo di operare al figlio/operaio. Proprio per colpa della consuetudine si trasferiranno dei concetti e dei modi di lavorare errati. La differenza tra consuetudine e legge? Tutta la nostra tradizione giuridica è dominata dalla distinzione tra questi due modi tipici di produzione del diritto. La consuetudine rappresenta il modo spontaneo, naturale, incosciente, informale, contrapposto a quello riflesso, artificiale, cosciente, formale. La forza da cui scaturisce è la tradizione; la forza da cui nasce la seconda è quella di una volontà dominante. Allora bisognerà aspettare che qualche "portatore d'interesse" spinga con forza il cambiamento della legge? Probabilmente passeranno dei decenni e una volta cambiata la legge potrebbe essere un abominio.
La soluzione auspicabile è quella di svegliare le coscienze dei titolari dell'impresa familiare affinché affrontino i temi della sicurezza nei luoghi di lavoro con responsabilità e professionalità, per attuare tale percorso le Regioni tramite le AA.SS.LL., il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, il Ministero dello sviluppo economico per il settore estrattivo, l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), gli organismi paritetici e gli enti di patronato potrebbero svolgere attività di informazione, assistenza, formazione, promozione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.
Sotto il profilo giuridico sembra che i conti tornino, infatti "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso" (art. 25 comma 2 della Costituzione Italiana). Eppure c'è da dire che sotto il profilo culturale il tutto è un po'carente. Nella pratica chiediamo a tutti i datori di lavoro di garantire "sino alla pedanteria" una formazione sufficiente ed adeguata, perché attraverso un'informazione, una formazione ed un addestramento (reale) i dipendenti ricevano una specie di "educazione al rischio", ciò rende sia il datore di lavoro che lo Stato sicuri, o quasi, che i lavoratori non andranno incontro ad infortuni e/o malattie professionali perché il loro comportamento sarà guidato dalla nuova educazione e non dalla consuetudine. Allora perché per i lavoratori autonomi e per i componenti delle imprese familiari tutto ciò non è obbligatorio?
Secondo un noto Procuratore Generale "...questa apparente attenuazione degli obblighi trova la sua giustificazione nel vincolo familiare", questo fa pensare proprio al concetto della diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 del Codice Civile), un concetto nobile ma poco applicabile nel contesto della sicurezza sul luogo del lavoro. Facciamo un esempio banale: il titolare di un'impresa familiare che da anni lavora con una macchina a norma ma in modo scorretto; tale soggetto considerando che quello fin ora utilizzato sia il metodo giusto per lavorare, trasferirà con la "diligenza del buon padre di famiglia" il suo modo non idoneo di operare al figlio/operaio. Proprio per colpa della consuetudine si trasferiranno dei concetti e dei modi di lavorare errati. La differenza tra consuetudine e legge? Tutta la nostra tradizione giuridica è dominata dalla distinzione tra questi due modi tipici di produzione del diritto. La consuetudine rappresenta il modo spontaneo, naturale, incosciente, informale, contrapposto a quello riflesso, artificiale, cosciente, formale. La forza da cui scaturisce è la tradizione; la forza da cui nasce la seconda è quella di una volontà dominante. Allora bisognerà aspettare che qualche "portatore d'interesse" spinga con forza il cambiamento della legge? Probabilmente passeranno dei decenni e una volta cambiata la legge potrebbe essere un abominio.
La soluzione auspicabile è quella di svegliare le coscienze dei titolari dell'impresa familiare affinché affrontino i temi della sicurezza nei luoghi di lavoro con responsabilità e professionalità, per attuare tale percorso le Regioni tramite le AA.SS.LL., il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, il Ministero dello sviluppo economico per il settore estrattivo, l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), gli organismi paritetici e gli enti di patronato potrebbero svolgere attività di informazione, assistenza, formazione, promozione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.
Non si
può risolvere un problema con la stessa mentalità che l'ha generato
(Albert
Einstein).
Prof Beniamino Deidda Gia procuratore Generale Toscana, Dr Petrioli Direttore ASL, Moderatore Avv Vanina Zaru
Dr. Raffaele Guariniello procuratore, Vice presidente AIFeCS.... leggi e formazione
Nessun commento:
Posta un commento